domenica 9 gennaio 2011

Rio Martesin, stop dal Consiglio di Stato



UN GRANDE RISULTATO CHE PREMIA LA CAPARBIETA'
E LA FIDUCIA NELLA DI GIUSTIZIA


da "il Piccolo" del del 27 dicembre 2010

Il Consiglio di Stato annulla i permessi a costruire rilasciati dal Comune di Trieste a due società romane, la "Airone 85 srl" e la "Gestione italiana appartamenti srl"
TRIESTE. È salva la valle di Rio Martesin, l’ultima enclave verde situata tra Scala Santa e Monte Radio. Il Consiglio di Stato ha annullato i tre permessi a costruire rilasciati dal Comune di Trieste il 13 luglio 2009 a due società romane, la ”Airone 85 srl” e la ”Gestione italiana appartamenti srl” . Volevano costruire sei palazzine con cento appartamenti e centinaia di metri di strade di collegamento. Ma la colata di cemento è stata fermata grazie all’intervento di tre cittadini che non hanno mai mollato la presa: Dario Ferluga, Luciana Comin e Giorgio Bragagnolo hanno cercato alleanze nel deserto della politica ma non hanno raccolto quasi nulla.

Hanno agito allora a livello legale, ma il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia ha dato loro torto confermando il buon diritto delle due imprese. I tre cittadini sono ricorsi in appello a Roma con l’avvocato Gianfranco Carbone e il Consiglio di Stato ha accolto il loro ricorso. La sentenza, ormai definitiva, è stata depositata in cancelleria il 23 dicembre scorso e ribadisce quanto la gente che abita in quella zona dell’estrema periferia di Gretta aveva sempre sperato. Niente cemento, niente palazzine, niente nuove strade. Solo verde perché l’area a pastini situata tra Rio Martesin e Rio Carbonera non può essere edificata.

Lo ha ribadito anche il nuovo Piano regolatore mentre il precedente non era stato così tassativo, ponendo però dei seri limiti alle edificazione. Ora, le due società romane che hanno già compiuto massicci e costosi lavori di disboscamento e di scavo con il relativo ”movimento terra”, dovranno ripristinare l’area che volevano ”valorizzare”, riportandola alle condizioni originarie. Se non lo faranno e se il Comune non dovesse intervenire, ci sarà la forza della legge a costringere l’amministrazione pubblica e le due società romane. In questa evenienza, peraltro remota, non è nemmeno esclusa l’entrata in scena della Procura della Corte dei Conti. Sono due i motivi per cui sono stati annullati dal Consiglio di Stato i tre ”permessi a costruire” per complessivi 11.300 metri cubi.


Il primo motivo chiama in causa il Comune e dice che l’intero progetto di Rio Martesin doveva essere valutato nella sua unitarietà. Suddividendolo in tre parti, è stata dribblata l’a ltrimenti indispensabile necessità di valutazione di impatto ambientale su tutta la lottizzazione dell’area. I giudici del Consiglio di Stato hanno anche sottolineato che nella concessione del ”permesso a costruire” è stata violata una norma speciale che imponeva e impone la salvaguardia dei pastini. In altri termini le palazzine avrebbero dovuto rispettare l’andamento a gradoni del terreno. Nel progetto presentato dalle due società romane e di cui il Comune non poteva non essere a conoscenza, non c’è traccia di questo. «Qui si decidono le sorti della nostra valle - aveva affermato pochi mesi fa Dario Ferluga parlando a nome del Comitato sorto nel rione - ma i triestini devono sapere che il tentativo di salvare dalla speculazione edilizia la nostra area è un problema che coinvolge tutta la città».

Certo è che confidando nella decisione favorevole del Tar, ma senza tener conto del fatto che il giudizio di appello era ancora pendente a Roma, le due società hanno completamente disboscato un’a rea verde che non doveva essere toccata e che si erano in qualche modo impegnate a rispettare fino alla sentenza definitiva. «Siamo di fronte a una devastazione, all’uso della mano pesante» aveva sostenuto il comitato di quartiere. Gli unici a raccogliere a livello politico la protesta erano stati il consigliere ”verde” Alfredo Racovelli e il collega Lorenzo Giorgi del Pdl: «Abbiamo avuto i primi assaggi delle porcate edilizie previste per questa valle. Attila non avrebbe saputo fare di meglio».

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